
Quante volte vi siete guardate allo specchio chiedendovi se quello che indossavate fosse abbastanza elegante, abbastanza perfetto, abbastanza… bello? Eppure, la moda contemporanea ci sta raccontando una storia completamente diversa. Una storia in cui la bruttezza non solo è accettata, ma celebrata. Una rivoluzione che ha trasformato il “difetto” in caratteristica distintiva e la imperfezione in nuova forma d’arte.
Come chi ha lottato per anni con la propria autostima, so bene cosa significa sentirsi fuori dai canoni. Ho indossato la mia cicatrice senza vergogna, ho trasformato le mie insicurezze in punti di forza, e oggi posso dire che la vera rivoluzione della moda non sta nel nascondere, ma nel mostrare. Perché quando parliamo di “ugly chic”, parliamo di molto più che una semplice tendenza: parliamo di una filosofia di vita.
Le radici di una rivoluzione estetica
La storia inizia nel 1996, quando Miuccia Prada cambiò per sempre le regole del gioco. Quella primavera/estate che fece scandalo non fu solo una sfilata, fu una dichiarazione di guerra ai canoni tradizionali di bellezza. Kate Moss, icona di una bellezza già atipica, divenne il volto di questa rivoluzione indossando stampe “sbagliate”, colori “fuori moda” e proporzioni che sfidavano ogni regola di armonia.

“Il brutto è attraente, il brutto è eccitante. Forse perché è più nuovo”, spiegava la stilista in un’intervista che ancora oggi risuona come un manifesto. E aveva ragione. Il brutto tocca il lato umano delle persone, quello autentico, quello che non cerca approvazione ma racconta una storia vera.
L’esplosione contemporanea: quando la bruttezza diventa lusso
Se Prada aveva piantato il seme, è stato Demna Gvasalia a far fiorire l’albero. Prima con Vetements, poi alla direzione creativa di Balenciaga, questo designer georgiano ha trasformato l’ugly chic da provocazione intellettuale a linguaggio universale. Le sue Triple S sneakers, volutamente goffe e costose, sono diventate l’emblema di una generazione che ha scelto la comfort zone come zona di comfort.

Ma il fenomeno va ben oltre le scarpe. Crocs con tacco di Balenciaga, felpe da 1000 euro che sembrano prese al mercato, borse che imitano quelle dell’Ikea – tutto questo non è casualità, è strategia. È il modo in cui la moda parla a una società stanca di perfezione patinata e social media idealizzati.
Il significato profondo dietro l’apparente caos
Quello che molti non capiscono è che l’ugly chic non è un invito a vestirsi male. È una profonda consapevolezza dello stile che ci libera dal giudizio altrui e dall’ossessione di essere “ben vestiti” secondo standard che non ci appartengono. È la stessa filosofia che applico nei miei corsi: insegnare alle persone a sentirsi straordinarie esattamente come sono.

La bellezza del brutto risiede nella sua capacità di raccontare storie. Ogni piega fuori posto, ogni colore “sbagliato”, ogni proporzione “errata” diventa un capitolo di autenticità in un mondo che troppo spesso ci chiede di essere copie conformi di un ideale irraggiungibile.
Crocs: dalla vergogna alla passerella
Se c’è un esempio perfetto di come il brutto possa diventare desiderabile, sono le Crocs. Nate come calzature funzionali, considerate per anni il simbolo del cattivo gusto, hanno conquistato prima la Casa Bianca (indossate dal Presidente Bush), poi le passerelle dell’alta moda.

La collaborazione con Simone Rocha, che le ha ricoperte di strass e perle per la haute couture, dimostra come il confine tra alto e basso, bello e brutto, sia sempre più labile. Non si tratta di provocazione fine a se stessa, ma di ridefinire i parametri del desiderabile.
La filosofia del Wabi-Sabi nella moda
L’ugly chic contemporaneo abbraccia inconsapevolmente l’antica filosofia giapponese del wabi-sabi: trovare bellezza nelle imperfezioni, nell’incompletezza, nella naturalezza delle cose. Come dice Prada nella sua collezione 2025: “Non è l’abito a dover scolpire la donna, ma la donna a poterlo vivere come vuole”.

Questo approccio è particolarmente liberatorio per noi donne che abbiamo sempre lottato con l’immagine di noi stesse. La moda ugly ci invita a completare il look con la nostra personalità invece di nasconderla dietro canoni prestabiliti. È un invito all’azione, a essere protagoniste invece che manichini.
Il lato oscuro del trend: quando il brutto diventa moda
Ma attenzione: esiste anche un rischio nascosto in questa tendenza. Quando il brutto diventa mainstream, rischia di perdere la sua forza provocatoria. Se anche Zara e H&M copiano l’estetica trasandata, dov’è finita l’autenticità che dovrebbe caratterizzare questo movimento?
Il vero problema sorge quando persone già conformi ai canoni tradizionali di bellezza – magre, ricche, famose – si appropriano di questa estetica trasformandola in un costume. “Alle persone hot è permesso di sembrare brutte, e a te no” è una riflessione amara ma necessaria.
L’ugly chic come strumento di inclusività
Nonostante i rischi, credo fermamente che questa tendenza abbia aperto spazi importanti per l’inclusività. Quando ho fondato Lorih Caradonna Production, l’ho fatto proprio per aiutare chi, come me, aveva bisogno di riscatto attraverso l’arte. L’ugly chic, nella sua forma più autentica, celebra la diversità e abbatte le barriere estetiche.

La vera bellezza risiede nell’accettazione di sé. Quando impariamo a valorizzare le nostre peculiarità invece di nasconderle, stiamo facendo molto più che seguire una tendenza: stiamo rivoluzionando il nostro rapporto con noi stessi.
Il futuro del bello brutto
Dove ci porterà questa estetica? La risposta non è semplice. L’ugly chic per continuare ad essere rivoluzionario deve evolversi continuamente. Non può diventare formula commerciale, ma deve rimanere espressione autentica di individualità.
Come fotografa e art director, vedo ogni giorno come la fotografia possa trasformare la percezione di ciò che consideriamo bello. Il mio obiettivo è sempre stato quello di catturare l’autenticità, di far emergere la bellezza nascosta in ciò che il mondo considera imperfetto.
Un messaggio di libertà
La moda brutta ci insegna una lezione fondamentale: non è brutto ciò che è brutto, ma è brutto ciò che non ci rappresenta. Quando indossiamo qualcosa che riflette la nostra personalità, anche se non rispetta i canoni tradizionali, stiamo compiendo un atto di coraggio e autenticità.
La vera rivoluzione non sta nell’abbracciare ciecamente ogni tendenza, ma nel scegliere consapevolmente cosa ci fa sentire davvero noi stessi. Che si tratti di un tailleur impeccabile o di un paio di Crocs platform, l’importante è che ogni scelta sia nostra, autentica, sincera.
Perché alla fine, come ho imparato nel mio percorso personale e professionale, la bellezza più potente è quella che nasce dall’accettazione e dalla valorizzazione di ciò che siamo davvero. E a volte, quello che siamo davvero può sembrare “brutto” agli occhi del mondo, ma è comunque straordinariamente nostro.
Continuate a essere autentiche, care. Il mondo ha bisogno della vostra unicità, non di un’altra copia conforme.
A cura di Lorenza Caradonna


